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Dicembre 2016

«Tecnologie compensanti, visione interdisciplinare ed etica». Lo sviluppo sostenibile secondo Dipak Pant

di Dino Collazzo

Per l’antropologo ed economista Dipak Raj Pant, docente presso la Scuola di economia e management dell’università Cattaneo e fondatore dell’Unità di studi interdisciplinari per l’economia sostenibile, i cambiamenti tecnologici in atto, come l’auto connessa e a guida autonoma, prima di essere assimilati vanno analizzati così da ridurre possibili ricadute negative per il sistema socio-economico.
Innovazioni tecnologiche, automobili in grado di svolgere diverse funzioni oltre al trasporto e la necessità di soddisfare l’aumento dei fabbisogni legati alla mobilità. Sono le direttrici su cui dovrà muoversi l’industria dell’automotive per costruire il proprio futuro. Secondo l’antropologo ed economista Dipak Raj Pant, docente presso la Scuola di economia e management dell’università Cattaneo e fondatore dell’Unità di studi interdisciplinari per l’economia sostenibile, tutto ciò sarà possibile solo con l’uso di tecnologie compensanti per l’uomo. «Nel trionfalismo che c’è dietro a ogni nuova scoperta tecnica spesso si dimenticano due aspetti: strategia ed etica. E così i risultati che in un primo momento vengono visti come eccezionali diventano, nel lungo periodo, insostenibili per il sistema socio-economico».

Professor Dipak Pant, in base a quanto afferma non sempre le innovazione sono un bene?
«Dipende dal tipo d’innovazione. La robotica e l’automazione hanno una ricaduta positiva se progettate e implementate per assolvere a compiti rischiosi per l’essere umano. Penso alla bonifica di zone contaminate o radioattive, a chi lavora in miniera o al disinnesco di esplosivi. La stessa innovazione però ha ricadute negative se impiegata in maniera diffusa e indiscriminata nei lavori generici dove causerebbe ridondanza della forza lavoro, disoccupazione e svalutazione delle risorse umane. Quel che serve è dare una direzionalità all’innovazione tenendo presenti due aspetti: strategia ed etica. Nel trionfalismo che c’è dietro a ogni nuova scoperta tecnica spesso si dimenticano questi due aspetti. E così i risultati ottenuti, che in un primo momento vengono visti come eccezionali, diventano nel lungo periodo insostenibili per il sistema socio-economico».

Dunque c’è bisogno d’innovazioni a misura d’uomo?
«Direi compensanti. Pensiamo alle abilità psico-fisiche delle persone che sono limitate e tendono a diminuire con l’avanzare dell’età. Da tempo notiamo che il tasso di invecchiamento è alto e che il baricentro dell’età adulta si spostata sempre più in là. Inoltre, le categorie vulnerabili esisteranno sempre: bambini, donne in stato di gravidanza, malati o in convalescenza, persone portatrici di handicap, esseri viventi con difficoltà e con le abilità declinanti. La tecnologia, il design e le procedure, comprese le adempienze burocratiche, devono essere compensanti».

Il concetto di tecnologia compensante può essere riferito anche all’auto?
«Il mondo dell’automotive è interessante perché è un elemento centrale dell’industria moderna che si occupa della mobilità umana. Vedo aprirsi nuovi orizzonti legati ai fabbisogni della mobilità umana e questo per forza dovrà portare a un adeguamento anche del settore dell’automotive».

Tra 10 anni l’auto sarà a guida autonoma, interconnessa e a impatto zero. In che modo questo cambierà il settore dell’automotive?
«È troppo presto per dire come sarà l’auto del futuro, se sarà duttile e se e quanto utile farà in termini di ricavi. Soffermiamoci invece sugli aspetti oggi tanto strombazzati della interconnettività telematica, la guida autonoma e l’impatto zero. Questi hanno dei lati oscuri e delle diseconomie che non sono stati sufficientemente approfonditi. E poi ci si dovrebbe chiedere di che tipo di futuro parliamo e qual è l’arco temporale. Pensiamo a quando fu inventato il fax, sembrava una grande novità. Si potevano trasmettere parole, numeri e immagini. Poi però si è visto che il fax è diventato obsoleto ancora prima di diventare adulto. È nato, cresciuto e morto nell’arco di due, tre decenni avendo così un orizzonte temporale corto. Invece l’automobile convenzionale è durata molto più a lungo».

Vuol dire che l’auto è un bene insostituibile?
«Voglio dire che bisogna avere una visione interdisciplinare a 360 gradi che tenga uniti aspetti tecnici, economici e antropologici. In pratica serve una razionalità rigorosa nell’analizzare i fatti e i dati che cogliamo e una certa intuizione, o forse sarebbe meglio dire presentimento, per riuscire a sviluppare una visione di lungo termine e anticipare il futuro».

Quando oggi parliamo di auto ci riferiamo anche a una mobilità in cui si preferisce la condivisione al possesso dei beni. Cosa cambia per il settore dell’automotive?
«La mobilità condivisa è funzionale ma è limitata al contesto, per lo più urbano, al tempo, a certe categorie e a certi periodi d’età: si pensi agli ostelli della gioventù, le caserme o ai convitti dei campus universitari. In altri periodi della vita e soprattutto in certi contesti fisici e culturali, il possesso e la personalizzazione dei mezzi e degli spazi diventano imperativi morali e strategici».

Un altro fattore legato alla mobilità è la sostenibilità ambientale. Quanto inciderà sulle scelte dei prossimi anni?
«È probabile che sia sempre più trasversale e diffusa. Va detto però che in futuro potrebbe essere percepita in maniera diversa da come la intendiamo adesso. Per esempio: più di vent’anni fa si pensava che usare carta riciclata fosse un qualcosa di ecologico. Si è saputo dopo che invece era peggiore della carta non riciclata perché il processo per impastare la carta usata e per ri-disporla per nuovi usi implicava l’uso di più elementi chimici nocivi e più procedure dannose. La scelta della sostenibilità è una cosa molto seria e va esaminata e misurata con un’attenta analisi tra input-output e costi-benefici, sia per le risorse ambientali, sia per la fattibilità economica-finanziaria, sia per l’ergonomia funzionale umana».





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