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Ottobre 2019

Il motore dell’aftermarket automotive è finito fuori giri

Dino Collazzo

L’analisi della filiera evidenzia performance in calo, marginalità modeste e forti tensioni sul tasso di rotazione del magazzino
Performance in calo, marginalità modeste e forti tensioni sul tasso di rotazione del magazzino. Il mercato dell’Independent aftermarket italiano continua a rallentare e si avvia a chiudere il 2019 in negativo. Le cause di quest’andamento discendente, dopo un ciclo espansivo durato un quinquennio e interrottosi a partire dal 2018, sarebbero da ricercarsi, secondo l’analisi realizzata dal Politecnico di Torino e presentata durante il secondo convegno economico finanziario della filiera aftermarket, non solo in fattori di tipo economico ma anche di natura geopolitica. La crisi del mercato dell’auto, con immatricolazioni in calo a livello globale (96,8 milioni nel 2018 -1,1%), la guerra dei dazi tra Usa e Cina, il rallentamento dell’economia mondiale, l’incognita della Brexit, la Germania più vicina alla recessione tecnica e il drastico calo dei consumi in area euro hanno determinato una forte incertezza lungo tutta la filiera Iam.

Una preoccupazione che non ha trovato risposta neanche negli stimoli monetari messi in campo dalla Bce con il quantitative easing. Il “bazooka” di Draghi – uno strumento che Christine Lagarde, prossimo presidente della Banca centrale europea, si ritroverà nella cassetta degli attrezzi per il rilanciare l’economia del continente – per ora non ha prodotto i risultati sperati. Infatti, a dispetto dei tassi bassi e quindi di maggiore disponibilità di denaro da poter prendere in prestito dalle banche, molte aziende hanno preferito rinviare gli investimenti di lungo periodo in attesa di tempi migliori. Il rallentamento del mercato Iam italiano, iniziato a partire dal 2018, sta spingendo i prezzi verso il basso (-2,1% ad agosto 2019), contraendo i volumi (-3,4%) e i fatturati (-5,3%) delle aziende del settore, con conseguente stagnazione anche dei salari reali (le retribuzioni aggiustate al costo della vita). Questa situazione, secondo Silvano Guelfi, responsabile scientifico del centro di ricerca Automotive independent aftermarke del Politecnico di Torino, sta accelerando la selezione tra le imprese all’interno della filiera.

Infatti, analizzando nel dettaglio l’andamento degli attori del settore si notano non poche differenze dal punto di vista delle strategie aziendali. Il divario tra gli operatori che, pur movendosi con estrema cautela, stanno innovando, sacrificando anche parte del proprio margine, su efficienza produttiva, logistica e professionalità del personale e chi ha deciso di aspettare segnali d’inversione dell’economia si sta ampliando. Il risultato, nel lungo periodo, sarà uno sfoltimento di aziende la cui scomparsa libererà volumi e quote di mercato per un valore di 361 milioni di euro, secondo una stima del Politecnico. La prova di questi cambiamenti è data dalle numerose acquisizioni, fusioni e partnership commerciali tra imprese che stanno spingendo molti player a unirsi per affrontare al meglio i cambiamenti in corso nel mondo automotive.

Mercato Iam
Le performance economico finanziarie delle aziende dell’independent aftermarke italiano, registratesi tra il 2014 e il 2018, indicano che in 5 anni gli operatori del settore ha perso volumi e fatturato. Una situazione che, visti i segnali negativi dell’economia mondiale, resterà immutata per il 2019 e con ricadute anche sul 2020. Analizzando il quinquennio trascorso si nota che nel 2018 il valore della produzione dei distributori è stato negativo (-1,4% su 2017). I dati sul margine commerciale e su quello operativo lordo dei primi 10 operatori mostrano un andamento altalenante mentre per gli altri operatori i segnali sono stati di forte riduzione. Nel caso dei primi 10 operatori meglio strutturati la marginalità commerciale nel 2018 è stata del 25,7% con un miglioramento di 0,9 punti percentuali sul 2017 (+0,4% su 2014). Per quanto riguarda invece i dati del Mol – la media è di 5,5% nel 2018 – 7 imprese su 10 sono in contrazione rispetto al 2014 (-1,2%) registrando un lieve recupero solo sul finire del 2018 (+0,1 punti percentuali). La situazione di difficoltà nel settore la si evince anche dal rendimento del capitale investito che è passato, sempre per i primi 10 operatori, dall’11,5% del 2014 all’8,4% nel 2018. In questo caso il dato non va letto solo in maniera negativa. In una strategia di lungo periodo infatti, continuare a investire capitale serve a sostenere lo sviluppo aziendale attraverso operazioni che, secondo Guelfi, richiedono lungimiranza e un’attenta gestione delle leve finanziarie.

Un discorso del tutto differente interessa invece i ricambisti il cui valore di produzione registra un valore di mercato nel 2018 del +3,1% sul 2017. Dall’analisi dei bilanci degli operatori i numeri descrivono un comparto in buona salute con un discreto tasso di sviluppo avutosi durante tutto il 2018. A incidere negativamente è la marginalità che rimane molto limitata con una struttura dei costi molto rigida. L’indebitamento finanziario – il denaro chiesto in prestito alle banche – è mediamente limitato e costante mentre i tempi di incasso e pagamento sono rimasti stabili. Qualche tensione si registra, così come per tutti gli operatori della filiera, sul tasso di rotazione del magazzino. L’andamento negativo investe invece il comparto dei produttori Iam che nel 2018 hanno registrato un valore di produzione del meno 1,2% sul 2017. I dati sul margine commerciale e su quello operativo lordo dei primi 10 operatori sono caratterizzati dal segno meno: meno 0,9 punti percentuali sul 2017 (-0,8% su 2014) nel primo caso e meno 0,5 punti percentuali sul 2017 di Mol (-1,6% su 2014).



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