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Aprile 2018

Il protezionismo non è la soluzione

di Mauro Severi - Presidente AICA

Dall’America First del presidente Trump al piano “Made in China 2025” si moltiplicano gli annunci verso un mercato mondiale chiuso. In questo scenario l’Europa rischia di essere un vaso di coccio. Servono interventi economici e una strategia comune per reagire a politiche industriali aggressive.
Nel discorso pubblico internazionale degli ultimi dodici mesi è apparso un nuovo protagonista: il protezionismo. Una tentazione dalla quale ci si deve guardare perché questa eventualità non può rendere più forte né l’industria europea, né quella italiana. L’Europa deve non solo rimanere un mercato aperto, ma imparare a reagire con maggior tempestività alle pressioni indotte dalle aggressive politiche industriali poste in atto dai paesi extraeuropei. Negli Stati Uniti – per esempio – potrebbero esserci, a medio termine, ricadute in termini d’innovazione e sviluppo tecnologico favorite dalla riforma fiscale adottata nel dicembre scorso. Le disposizioni contenute in quel provvedimento – che rende il sistema fiscale Usa molto meno complesso – incoraggeranno le imprese a investire e a crescere. In una simile prospettiva l’unica risposta che l’Unione Europea deve dare è impegnarsi per render più competitivo il proprio “ambiente” imprenditoriale.
 
Ma non si tratta solo di questo, l’Amministrazione Trump sta preparando grandi piani di investimento in infrastrutture destinati a stimolare la crescita delle imprese, l’occupazione e ad attirare investimenti esteri diretti. Un’opportunità che le imprese d’ingegneria europee e italiane rischiano di perdere a causa delle nuove disposizioni che impongono di “comprare americano”. Questi sono i frutti avvelenati di quell’America First che, appellandosi a “motivi di sicurezza nazionale”, proprio in questi giorni ha prodotto dazi sull’acciaio e sull’alluminio nei confronti di Europa e Cina. Segnali, purtroppo non isolati, che indicano la volontà di ridimensionare drasticamente il libero scambio. Non a caso in questi stessi mesi la Cina ha lanciato il suo piano “Made in China 2025”, un’ambiziosa strategia per aggiornare la propria industria manifatturiera. Il gigante asiatico ha individuato dieci settori nei quali punta a diventare leader globale. Un potenziamento industriale che potrebbe non essere vantaggioso per l’economia mondiale perché la Cina ha scelto un percorso di sostanziale “autarchia”.  In altri termini, ha deciso di escludere le imprese straniere dalle sue filiere d’approvvigionamento con l’intento di ridurre la propria dipendenza dall’estero, sostenere l’industria nazionale e acquisire quote del mercato globale.
 
L’insieme di queste cose conferma che i nostri principali competitori sono impegnati nel duplice sforzo di potenziare i rispettivi sistemi industriali proteggendo, per quanto possibile, i loro interessi strategici e con essi la loro occupazione. Due azioni che, combinandosi tra loro, possono incidere pesantemente sull’export italiano che nel 2017 ha toccato quasi 450 miliardi di euro con una crescita del 6,5 % rispetto al 2016. Col pensiero rivolto al nuovo Governo dobbiamo augurarci che nessuno s’illuda di rispondere ai protezionismi degli altri con politiche nazionalistiche. Chi pensasse di farlo deve sapere che ha già perso la partita prima ancora di entrare in campo.  Questo è ancor più vero se consideriamo che l’Unione Europea – e l’Italia – ha già una Brexit in corso. All’ondata protezionistica si può e si deve rispondere solo con l’Europa. Ricordiamoci che l'Europa è il mercato più ricco del mondo con un debito aggregato inferiore a quello degli Stati Uniti. L’Europa può reagire alle politiche protezionistiche degli altri e determinare, allo stesso tempo, interventi positivi nell’economia locale e globale. Per quanto riguarda il nostro Paese, l’agenda è ben definita da tempo: l’Italia deve modernizzarsi, semplificarsi e diventare più efficiente.



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