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Maggio 2017

Auto a idrogeno, in futuro il business per l’automotive varrà 1.000 miliardi di dollari

di Dino Collazzo

Secondo una ricerca pubblicata da Information Trends nel 2032 i veicoli fuel cell a idrogeno potrebbero arrivare a toccare quota 22,2 milioni. Ma per arrivare a questi volumi serve investire in innovazione e tecnologie così da abbattere i costi di produzione della materia prima e creare una rete capillare di stazioni di rifornimento.
L’auto a idrogeno accende il dibattito tra gli esperti del settore automotive che vedono nel fuel cell il futuro del comparto. Per ora però i motori restano ancora spenti. A rallentare la corsa da pochi prototipi in circolazione a una più vasta distribuzione su larga scala sono diversi fattori. Si va dai costi di produzione ancora troppo alti, fino alla difficoltà di rendere più efficiente e sostenibile la creazione del carburante necessario a muoverla. Se questi aspetti un tempo avrebbero influito negativamente sullo sviluppo di questo veicolo eco-friendly, oggi invece spingono a investire in ricerca e innovazione. E questo grazie non solo alla voglia degli attori tradizionali di voler migliorare le prestazioni e ridurre i consumi e le emissioni. Ma anche perché su questa “strategia green” hanno iniziato a puntare nuovi player – per lo più provenienti dal mondo dell’hi-tech – che ne hanno fiutato l’affare.
 
Stando a una ricerca pubblicata su Information Trends, e attinente al potenziale di sviluppo dei veicoli a idrogeno, solo nel 2016 nel mondo sono stati venduti 2.500 auto di questo tipo. Registrando una crescita di tre volte superiore rispetto a quella del 2015. Certo i numeri, in termini di volumi (tra vendite e locazioni), restano ancora molto bassi rispetto a quelli generati dall’industria automobilistica nel suo complesso. Ma sono comunque sufficienti, secondo diversi analisti, a rappresentare una tendenza destinata a crescere nei prossimi anni, tanto da immaginare per il futuro una “economia dell’idrogeno”. I ricercatori dello studio stimano che da qui al 2032 i veicoli a fuel cell a idrogeno venduti e noleggiati in tutto il pianeta, potrebbero arrivare a toccare quota 22,2 milioni. Generando per l’intero comparto dell’automotive e della sua filiera ricavi complessivi intorno a 1.000 miliardi di dollari. I mercati di riferimento sono gli stessi che oggi risultano i più prosperi. Si tratta di quello asiatico, che detiene una quota del 48% con il Giappone a guidare la classifica dei paesi con il maggior numero di veicoli di questo tipo, e quello Nord americano, con una quota del 43% – qui a fare la parete del leone è la California –. Decisamente più indietro la piazza europea che raccoglie solo il 9%.
 
Per incrementare i volumi serve però riuscire a realizzare le infrastrutture necessarie che consentano la diffusione delle auto a fuel cell. Infatti, un aspetto fondamentale nel progresso dei carburanti all’idrogeno è legato allo creazione di impianti di produzione, stoccaggio e rifornimento di questo elemento. Fattore su cui ha iniziato a porre la sua attenzione anche il mondo della politica e delle istituzioni. Ne è un esempio la direttiva europea Dafi. Questa disposizione, recepita di recente anche dall’Italia, inserendo l’idrogeno tra i combustibili alternativi si pone l’obiettivo di dare un impulso alla proliferazione di una sua filiera. L’idrogeno, infatti, non trovandosi libero in natura ma unito ad altri elementi – combinato con il carbonio negli idrocarburi e con l’ossigeno nell’acqua – ha bisogno di essere scisso per essere utilizzato. Il procedimento di separazione può avvenire attraverso diversi metodi: elettrolisi, irraggiamento solare, reazione chimica o pirolisi (decomposizione di una sostanza complessa mediante trattamento termico). Per ora il più usato è il reforming del gas naturale per via della sua economicità ma che come sottoprodotto genera Co2. Questo metodo – ne esistono anche altri che sfruttano fonti rinnovabili o elementi a impatto zero ma che per ora sono troppo dispendiosi – consente di generare il 60% d’idrogeno a livello internazionale, con un’efficienza media da gas naturale del 65%. In pratica si fanno reagire metano e vapore acqueo a temperature elevate con il risultato di produrre una miscela detta syngas. Riuscire a rendere conveniente la produzione della materia prima, migliorare la prestazione dei motori, contenere i costi per l’acquisto e creare una rete capillare di stazioni di servizio sono le incognite che incombono su una reale diffusione di questa tecnologia. La strada verso un’economia basata sull’idrogeno è solo agli inizi.
 





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